domenica 5 giugno 2011

"La nuova Verona" parla di Veronetta


Nel primo numero de "La nuova Verona" si parla di Veronetta. Riportiamo alcuni interessanti articoli.
Per leggere l'intero periodico cliccare qui.

Servizi di Kader Bayoh,Andrea Pizzin, Valentina Todeschini

Veronetta,un cantiere per la città del domani
Nuovi modelli sociali in embrione a sinistra Adige
Il futuro prende forma nelle diversità

Per valorizzare un quartiere è necessario conoscerne la storia.Allora anche le novità si possono integrare con una certa armonia.Per la presenza dell’Università,di un teatro,di un museo,di centri culturali e delle scuole ormai multietniche, Veronetta è certamente sottovalutata quanto a potenzialità.Poi ci sono loro,i nuovi veronesi con cui avviare un intenso scambio per costruire insieme una nuova città. Meno grigia,più colorata.


Da Cangrande della Scala ai giorni nostri

«Non c’è mondo per me aldilà delle mura di Verona:c’è solo purgatorio, c’è tortura,lo stesso inferno». Se Shakespeare avesse veramente visitato Verona,le mura da lui citate avrebbero compreso anche Veronetta,sviluppatasi all’interno delle mura cittadine secondo il progetto urbanistico di Cangrande della Scala,risalente al 1384.Iniziò a chiamarla così l’esercito Napoleonico dopo il 1801,anno del trattato di Lunèville,che suddivise la città in due parti,una a sinistra e l’altra a destra dell’Adige.Nella prima metà dell’800 il quartiere di Veronetta era sostanzialmente un quartiere operaio.Qui nacquero diversi ordini religiosi per aiutare la popolazione indigente: l’ordine di Don Nicola mazza,i Comboniani,le Orsoline,gli Olivetani,i Carmelitani… Il quartiere oggi è un significativo polo culturale: qui si trovano l’Università, diverse scuole elementari (Massalongo,Rubele,Duca d’Aosta) istituti tecnici (Bon Brenzoni,San Micheli,Giorgi) e artistici (Nani),circoli e fondazioni di carattere culturale (teatro Camploy,teatro romano).Oggi Veronetta è un quartiere giovane,per la presenza degli studenti che abitano la zona e per l’età dei cittadini stranieri.
ALCUNI DATI. Il numero di stranieri residenti a Veronetta è 2.218,su un totale di 10.411 abitanti,cioè 21 stranieri su 100 abitanti,paragonabile alla percentuale dei quartieri delle Golosine e di Borgo Roma.La presenza di stranieri nel quartiere ha registrato una crescita costante nell’ultimo ventennio:dal 1997,quando la percentuale di stranieri a Veronetta contava il 10,8% della popolazione,si è passati al 20% nel 2011.I primi insediamenti stranieri hanno interessato la componente maschile della popolazione immigrata e,nell’ultimo decennio,anche la componente femminile.La concentrazione di stranieri nel centro di Veronetta ha comportato un cambiamento anche a livello economico:sono sorti diversi negozi con un target mirato che risponde ad una reale domanda del quartiere,come la macelleria mussulmana,i negozi di abbigliamento africano o il videonoleggio srilankese.La percezione di Veronetta come di una “Verona minor”è data da un insieme di fattori,quali l’insicurezza di alcune vie,il disordine notturno,la viabilità caotica e la mancanza di servizi che contribuiscono a stereotipare questo quartiere come il più degradato della città.


Si riparte da VERONETTA
Un laboratorio per costruire una città meno ingessata,più aperta alle novità
I miniappartamenti, che servivano per l’alloggio degli studenti,sono stati occupati dagli immigrati,che pagavano di più e soprattutto in nero. Veronetta si può definire un vero e proprio ghetto

Una prospettiva particolare quella che abbiamo scelto per mettere a fuoco le potenzialità e le contraddizioni di un quartiere come Veronetta.La prospettiva di un architetto che conosce bene la città in riva all’Adige.Edifici,strade piazze non
disegnano infatti solo uno spazio fisico,ma anche dei luoghi psicologici,sociali e culturali. – Architetto Forti,secondo lei a Veronetta è avvenuta una ghettizzazione? «Sì,è avvenuta.C’è chiaramente paura del diverso.Fin dalla simbologia medievale il nero era il cattivo e il bianco la purificazione.I manti di Cristo,oppure le pavimentazioni del duomo o di Sant’Anastasia,hanno cromie bianche,rosse e nere. Attraverso l’amore (rosso),il bene (bianco) vince il male (nero).Nei confronti di una persona “diversa” si ha sempre un po’di timore dovuto alla non conoscenza e,soprattutto nella popolazione più ignorante,questa paura si accentua.
Anche se Verona è tutto e il contrario di tutto:è una città leghista da un lato,ma è anche una di quelle con il maggior numero di associazioni di volontariato». – Quale indicherebbe come causa principale della “ghettizzazione”? «Veronetta è cambiata radicalmente con l’avvento dell’Università:i mini-appartamenti,che servivano per l’alloggio degli studenti,sono stati occupati dagli immigrati,che pagavano di più e soprattutto in nero.In questo momento Veronetta è un ghetto che gli immigrati giustamente cercano di far funzionare:con i loro negozi,le loro botteghe,i loro alimentari e quant’altro.Probabilmente un minimo d’indirizzo per quanto riguarda l’accoglienza avrebbe favorito una diversa integrazione». – Il degrado degli edifici contribuisce ad accentuare i problemi? «Poniamo il caso che io sia il proprietario di un appartamento.Se devo affittarlo a un italiano deve essere messo bene.Se invece devo affittarlo a un immigrato cosa me ne frega di metterlo a posto? Non gliela da nessuno una casa.Al posto di stare sotto un ponte va ad abitare in un ambiente con gli intonaci scrostati». – Di chi sono le responsabilità? Del Comune che non effettua controlli? «Le responsabilità sono dei proprietari.I controlli il Comune li fa,ma solamente su segnalazione degli inquilini.C’è una situazione di convenienza reciproca.Se l’inquilino va a fare la denuncia all’Ulss,dopo dove lo trova un altro appartamento con la nomea che si è fatto?». – Non converrebbe a tutti:ai proprietari degli immobili,al Comune valorizzare questa parte della città? Lei ad esempio,che è architetto… «L’architetto imprenditore ha tutto l’interesse che il quartiere vada giù. Il dio denaro è così.I proprietari hanno tutti interesse a tenere le cose
come stanno.È chiaro che la cittadinanza dovrebbe trovare delle soluzioni alternative,questo sì,ma è difficile…». – Come migliorare la situazione, anche attraverso l’architettura? «Da architetto posso fare solamente delle forme.Chi poi mette i contenuti non è il progettista.Spesso a decidere sono le leggi di mercato. Nel caso di Veronetta,che era già stata costruita,il libero mercato ha messo dentro determinate persone». – Quale può essere il ruolo di un architetto in questa zona? «Da “operatore visivo”sono convinto che il segno formale sottende dei contenuti,che si possono perdere nel tempo.Il recupero di quei segni significa anche il recupero di
quei contenuti.Non a caso prima di qualsiasi progetto bisogna avere una conoscenza storica del manufatto su cui si opera». – Un problema che riguarda l’immigrazione è il confronto tra culture diverse.Gli italiani,le istituzioni, come difendono i loro valori? «Ci sono o non ci sono questi valori?(ride,ndr).Il legarsi alla tradizione,soprattutto in questo momento di globalizzazione,guardare al locale è importante perché si vanno a recuperare le nostre radici.Questo recupero,che non ha niente a che fare con il conservatorismo,è essenziale nel momento in cui ci si deve confrontare con chi viene da altre realtà e che i propri valori li ha ben saldi.
Mi piace portare l’esempio del restauro di Santa Maria del Paradiso,a Veronetta. Andare a restaurare un edificio sacro della religione alla quale noi facciamo riferimento,in un quartiere di confine,è un segno importante per dire:“Guardate, questi sono i riferimenti nei quali noi crediamo e che vogliamo restaurare”.Ora i frati proprietari di questa chiesa l’hanno aperta a una comunità cingalese di religione cristiana,che la domenica celebra le sue funzioni». – Quale tra i lavori che ha curato le è rimasto più impresso? «Quello con don Sergio Pighi che mi chiese di restaurare la chiesetta di Corte Molon.Quando mi recai da lui vidi molti stranieri immigrati,alcuni in condizione di clandestinità,cui egli aveva offerto un riparo. Gli dissi che mi sarei impegnato ad insegnare ogni sabato a quelle persone il mio lavoro.Abbiamo capito che per non ghettizzarli c’era bisogno che lavorassero con gli italiani, e quindi ho coinvolto i ragazzi dello studio e gli amici di mia figlia che studiavano architettura a Venezia. Ho raggruppato una ventina di persone e abbiamo sistemato questa chiesa,mettendo un motto,che secondo me è estremamente importante:“l’integrazione attraverso il recupero della tradizione”». – Qual è l’insegnamento che ha tratto da questo lavoro? «Mi ha colpito moltissimo un magrebino,il quale,mentre parlavo di storia dell’architettura,di tecnologia e quant’altro,mi disse:“Ma guardi architetto che anche noi abbiamo avuto Roma!”.Allora andiamo a cercare quelle che sono le matrici comuni:al di là del mare nostrum,al di là della Alpi...Spesso i lavoratori stranieri hanno conservato quella cultura materiale,propria delle vecchie maestranze,che noi nel corso degli anni abbiamo perso, e che ora ci manca così tanto.Questi ragazzi,a cui cercavo di inculcare l’idea dell’importanza del recupero del patrimonio artistico veronese,l’hanno recepita di fatto».


«I problemi li creano gli adulti»
I bambini non conoscono le discriminazioni etniche o religiose
Nelle famiglie veronesi è diffuso un atteggiamento di diffidenza.Nelle famiglie di origine straniera prevale la paura di perdere la propria identità. Questi atteggiamenti possono essere superati grazie alle relazioni quotidiane


La prof.Luciana Marconcini è stata per cinque anni Preside dell’Istituto comprensivo 18,che raccoglie otto plessi tra Scuole medie inferiori,elementari e materne,di cui 3 collocati a Veronetta. – Qual è la percentuale di bambini di origine straniera frequentanti le scuole di Veronetta? «In alcuni plessi addirittura oltre il 50%».
– Nella scuola quali sono i principali ostacoli al processo di integrazione?
«È necessario distinguere tra i bambini stranieri appena giunti in Italia e i bambini che vivono qui da molti anni o sono nati in Italia.Per i primi,le difficoltà da superare per integrarsi sono soprattutto l’apprendimento della lingua italiana e la conoscenza e il rispetto di norme e regole,da quelle scolastiche a quelle civili. Solo quando questo percorso di apprendimento e adesione riesce,il bambino sviluppa un senso di appartenenza alla cultura/nazione ospitante.La condivisione di una lingua è doppiamente fondamentale:essa non veicola soltanto contenuti linguistici ma anche e soprattutto significati culturali profondi.I bambini di origine straniera nati o cresciuti fin da piccoli in Italia si sentono (e sono) italiani. Spesso siamo noi italiani,noi veronesi adulti a creare il problema,continuando a identificare lo straniero con il diverso,aumentando o addirittura producendo fratture e differenze,quando i bambini le avrebbero superate ormai da tempo». – Come vivono i bambini il problema dell’integrazione? «Ciò che è in gioco,nelle dinamiche interpersonali dei bambini o dei ragazzi,è sempre e soltanto l’amicizia. Sono le antipatie,i dispetti,le invidie, non le differenze etniche a provocare le discussioni.Anche nei casi,fortunatamente molto rari,in cui durante un litigio compaiono espressioni di tipo razzista,non vi è alcun dubbio che questo è il prodotto di un sostrato culturale con cui i bambini/ragazzini entrano in contatto in famiglia o nella loro vita sociale.Lo stesso vale per la religione.In vent’anni di professione non ho mai assistito a scontri causati da motivazioni religiose;a
quest’età i ragazzi sono troppo giovani,troppo spontanei e aperti per manifestare forme di intolleranza.Alla scuola,alle famiglie e a tutta la società civile spetta il compito di impedire che questi comportamenti compaiano in età matura,educando al rispetto verso l’altro e le sue convinzioni, comprese quelle religiose. – Un’elevata presenza in classe di ragazzi di origine straniera produce un calo di qualità nell’insegnamento? Ci sono famiglie italiane che preferiscono mandare i loro figli in altre scuole percependo questa presenza come un problema? «La presenza di ragazzi di nazionalità diverse costringe a utilizzare metodologie che mirano alla semplicità, alla chiarezza.Ciò è estremamente utileanche per gli alunni italiani,in particolare per quelli più in difficoltà. Non mi pare che tutto questo possa essere descritto come un calo di qualità.Ciononostante vi è effettivamente una percentuale, molto bassa,di famiglie veronesi che pur risiedendo a Veronetta fanno frequentare ai loro figli altre scuole.È una libera scelta». – Le famiglie dei suoi alunni come affrontano il tema dell’integrazione? «È piuttosto la società ad affrontare il problema per loro,evolvendosi nel tempo in un processo di cui è arduo individuare i soggetti precisi.Nelle famiglie veronesi è piuttosto diffuso un atteggiamento di diffidenza,invece in quelle di origine straniera prevalgono spesso la preoccupazione e la paura di perdere la propria identità,i propri valori di riferimento. Questi atteggiamenti possono essere superati grazie alla semplicità della relazione quotidiana,grazie alla normalizzazione dei rapporti.Uno dei contributi più grandi che possiamo e dobbiamo dare al processo di integrazione con popolazioni di origine straniera è di incarnare i valori fondamentali della nostra cultura.Purtroppo,pretendiamo che gli stranieri aderiscano ai nostri valori,quando
nei fatti noi siamo i primi a disconoscerli e a non rispettarli.Queste persone spesso appartengono a culture le cui tradizioni sono conservate e rispettate in maniera molto forte.Affinché queste persone accettino di condividere i nostri costumi,è necessario mostrar loro un modello,un esempio edificante e autorevole da seguire.L’appello che rivolgo ai giovani è di riscoprire questi valori nel luogo in cui sono stati scolpiti:la nostra Costituzione.È la Costituzione la nostra bussola culturale,che ci ancora al passato e al tempo stesso ci proietta verso un futuro di apertura e condivisione». – Qual è l’importanza della scuola in questo processo?
«La scuola è fondamentale.È la fucina dove vengono formati i futuri soggetti della società.La scuola determina il livello culturale della società futura,ed è questo livello a migliorare i costumi,a facilitare l’adattamento alle regole.La scuola deve garantire la presenza di insegnanti assolutamente preparati e soprattutto formati in maniera aperta rispetto ai principi culturali.Dal punto di vista organizzativo è assolutamente necessario non danneggiare l’efficienza scolastica:mantenere basso il numero di alunni per classe e non diminuire le ore di scuola,perché ciò significa diminuire le ore di apprendimento e di socializzazione,ossia le possibilità d’integrazione».


L’edicolante
Intervista con il titolare dell’edicola di Piazza Santa Toscana.
– Veronetta viene spesso descritta come una zona degradata,malfamata della città in particolare per la forte presenza di stranieri.Cosa ne pensa? «Faccio l’edicolante a Veronetta da 13 anni e non è più dura qui rispetto ad altre parti.Mi sono reso conto che questo è un problema che riguarda più la percezione che la realtà.Passeggiando per queste strade si vedono moltissimi stranieri,ma solo una piccola parte di loro risiede qui.Gli altri frequentano la zona per altre ragioni:i negozi multietnici di via XX Settembre,le comunità religiose di S.Nazaro,il centro immigrazione di Santa Toscana.I figli dei veronesi preferiscono abitare altre zone (gli affitti sono carissimi),perciò qui rimangono gli anziani che escono di casa raramente.Anche per questo per strada si notano così tanti stranieri». – Quindi i problemi di ordine pubblico che si sono registrati a Veronetta non dipendono dall’elevata percentuale di stranieri? « La causa dei disordini non sono tanto gli stranieri,ma la presenza di molti locali,in particolare bar. È normale che la clientela dei bar sia più portata agli schiamazzi o a comportamenti anche peggiori, ma questo è un atteggiamento trasversale,comune agli stranieri quanto ai veronesi.Inoltre devo dire che negli anni molti stranieri residenti si sono integrati.La mattina passano a prendere il giornale prima di andare al lavoro… non sono loro che disturbano o delinquono».


Il ristoratore
Intervista con il titolare del ristorantante di cibo srilankese di via XX settembre.
– Quali sono i suoi rapporti con gli abitanti di Veronetta ? È vero che questa zona è degradata? «No non è vero.Da quando risiedo qua e gestisco il ristorante,cioè sette mesi,non ho mai avuto problemi né con italiani ,né con stranieri.A parte qualche ubriaco che gira nella zone e qualche litigio,non c’è nulla di straordinario: queste sono cose che possono succedere dappertutto in città. Anni fa la situazione era molto più preoccupante. Ora invece ci sono stati dei cambiamenti sia a livello sociale che a livello comunale.Questi cambiamenti hanno portato a rapporti più miti tra le persone (tra italiani e stranieri e tra stranieri e ita-
liani)». – Quali sono secondo lei le cose o le situazioni da cambiare? «Prima di tutto è opportuno ridurre il vagabondaggio di ubriachi,anche se è già stato fatto qualcosa;poi i baristi devono controllare e limitare il consumo di alcool».
– Come è percepita questa realtà dagli abitanti italiani? «E’vero che alcuni dimostrano paura e freddezza verso il diverso,quindi con questo comportamento cercano di proteggersi chiudendosi nella riservatezza.Nello stesso modo gli stranieri verso gli italiani si chiudono tra di loro in comunità.Sta di fatto che col passare degli anni questa timidezza va sgretolandosi».

VIVERE IL CAMBIAMENTO
di Valentina Todeschini
Veronetta è la perfetta sintesi dell’antico che si unisce al moderno,della città che si unisce alla natura,dell’adulto che si unisce al giovane.Ha tutti i requisiti per essere il lievito che porti fermento a Verona.Il laboratorio di giornalismo è un fragrante risultato.È una via concreta di collaborazione e fusione tra diverse etnie,culture che partono da un’ignoranza comune e arrivano a un risultato condiviso. Ma soprattutto è giovane,toccasana per l’eliminazione di stereotipi e pregiudizi,per la consapevolezza di com’è immensa la risorsa della diversità.Nei giovani gli elementi comuni sono più forti delle differenze e per questo possiedono la voglia e le forze di VIVERE IL CAMBIAMENTO,non di “risolvere il problema”.Questo giornale più che un esperimento (è un termine troppo asettico!) è stata la concretizzazione di un’idea.Sebbene il pubblicarlo sia come arrivare al nastro del traguardo in realtà è solamente un punto d’inizio: quanto si può concretamente fare per iniziare quella cittadinanza cui tutti aneliamo? Non si abbia paura di concretizzare un’idea.(V.T.)

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